LETTURE

MYSTIKA

Ecco il racconto comparso su URANIA di aprile 2021, a corredo del romando di James Gunn “Oltre l’ignoto”.

Estasi. È tutto vero. La mente molla gli ormeggi, la pelle freme. Estasi. Somiglia all’eccitazione sessuale. Virginia se ne vergogna. Non saprebbe come spiegarlo agli altri che stanno condividendo quell’immacolato momento di Comunione. Se ne accorgono? Si accorgono che prova un bisogno fisico tanto imbarazzante, tanto profano? Nessuno si ritrae. I gangli virtuali avvolgono tutti. Circola una pace meravigliosa. Il canto le ronza nelle orecchie, si colora. Il canto esce dalle sue labbra, ripetitivo, proiettandola in uno stato alterato di coscienza, accrescendo la sua Estasi e con essa il suo bisogno. Sente le mani di Dio che la toccano, le sue labbra che la baciano. Come santa Teresa. Lui la stringe, l’avvolge. Non è un abbraccio umano, volgare. Ha rinunciato a quelle cose, è stato necessario. Non le avrebbero permesso di elevarsi allo stadio superiore. Il suo corpo ne ha sofferto molto. Anche la sua psiche. Ma la sofferenza è necessaria. Fuoco purificatore. Cilicio. E poi il sesso non le è precluso per sempre. Quando troverà una persona come lei, un uomo che viva la fede con tutto se stesso, potranno condividere l’Estasi mistica e il piacere dei sensi. Dicono che sia meraviglioso.

Ora non c’è spazio per pensare. I pensieri si sgretolano. La mente, dilatata all’eccesso, si è riempita di luce. E nella luce scintille colorate. E le mani su di lei. La corda si tende. Dio le parla. “Tu sei amata. Sei la mia prediletta. In te mi sono compiaciuto.” La voce è carezzevole. Le pare di sentire il suo alito caldo sul collo. Poi tutto esplode. Un fuoco d’artificio di sensazioni. La più forte è l’Amore.

Non sa per quanto tempo resta in quello stato. Quando scende da quelle vette divine è l’imbrunire. Lame rosse filtrano dalla finestra e disegnano geometrie di sangue sulla parete bianca, proprio dove c’è l’immagine sacra che più ama: il cuore di Gesù, offerto all’umanità ingrata.

La voce pacata e carezzevole di padre Raphael le risuona nelle orecchie. “Anche sorella Virginia è tornata. Tutti i suoi parametri indicano che ha incontrato Dio. Siamo quasi tutti qui, fratelli e sorelle. Volete testimoniare?”

Virginia si trattiene: non vuole svelare il risvolto sessuale della sua Estasi. Intanto una voce dopo l’altra si levano le testimonianze. Ognuno ha vissuto l’esperienza in modo diverso, ma ci sono tratti comuni. L’abbandono, la felicità, i colori… C’è un linguaggio condiviso, un codice. Alcuni si esaltano. P. Raphael è paziente, ascolta, non smorza gli entusiasmi, ma li dirige. Corregge dove va corretto. “I messaggi saranno vagliati con grande attenzione” dice. Nessuno mette in dubbio la sua autorevolezza. È una guida generosa.

Pian piano tutti tornano dalla Sfera dell’Amore. Virginia chiude la comunicazione, ma non Mystika. È tardi, ha fame, ma non importa. Consulta i propri dati. Non ci capisce molto, ma la versione Pro ha un buon grado di analisi. Il suo corpo ha reagito bene: i grafici illustrano un livello di Estasi pari a 7.7. Ma c’è una macchia: il suo livello di Purificazione è pari a 6.9. Se ne rattrista. Esamina i dati con più attenzione. Ecco, la linea rossa ha avuto due picchi. Uno riguarda la colazione, quella mattina. I biscotti erano così buoni! Ne ha mangiati due. Sa che non avrebbe dovuto: gli zuccheri sono il nemico, spezzano la tensione del corpo, inviano al cervello messaggi di piacere fuorvianti. Il giorno di Comunione va preparato col digiuno. Il digiuno disciplina il corpo e libera lo spirito.

L’altro picco riguarda proprio il momento dell’Estasi. Ci sarà stata un’interferenza ormonale. Mystika sa ogni cosa, ti conosce dal di dentro, fisicamente e spiritualmente. I suoi occhi penetrano fino nelle membrane delle tue cellule, scandagliano i tuoi neuroni. Per esempio, sa se ti stai toccando: i sensori IMD registrano l’impennata di ormoni che si somma al frenetico rincorrersi dei neurotrasmettitori. Una geometria chimica del peccato. Virginia non sfiora il suo corpo laggiù da mesi se non per lavarsi, cosa che fa con grande delicatezza, recitando giaculatorie per non cedere alla tentazione. Conosce il pericolo. Un tempo… No! Terapia dei pensieri! Ogni pensiero peccaminoso va ucciso col suo contrario. Senza pietà.

Si nasconde il viso tra le mani. Si sentiva così leggera mentre Dio le parlava. Così leggera! E adesso…

 “La disperazione è la porta del Diavolo.” È la voce di p. Raphael. Virginia cerca di rispondergli, ma lui in realtà non è disponibile: ci vuole una prenotazione per parlargli. E lei che credeva di essere stata scelta! Scorre la lista degli altri sacerdoti online. Ci sono alcuni confessori con un rate molto elevato ai quali può rivolgersi grazie alla versione Pro. È valsa la pena di fare l’upgrade. P. John Paul, per esempio, le sorride. Ha un volto terribile, lungo, duro, ma negli occhi ha una luce gentile.

Virginia inoltra la chiamata. Chiede una consulenza spirituale, non una confessione. Dopotutto non ha fatto nulla di grave, lo sa. P. John Paul appare con una tale vividezza da sembrare lì, nella stanza. Con la versione Pro possono toccarsi: gli IMD trasmettono al cervello quell’illusione, che la rimanda alla pelle. Lei, però, non ne ha alcuna voglia e stringe le mani in un gesto compito e pudico.

“Che cosa c’è, sorella? Che cosa ti turba?”

“I picchi rossi, padre. Non so come eliminarli. È la carne, padre. Il Diavolo s’insinua nell’Estasi.”

P. John Paul analizza i dati. Ha accesso ad altri valori che lei non può vedere. “L’Estasi viaggia attraverso il corpo. Il corpo è nostro alleato. A meno che… C’è malizia in te, sorella?” La scruta. Ha gli occhi lucidi, le pupille dilatate, le narici frementi, la bocca socchiusa, umida. Per un istante le ricorda altri volti, altre bocche, bocche che l’hanno baciata, toccata, leccata. Il vento caldo di quei ricordi le fa stringere istintivamente le gambe, nel tentativo di dominarsi. Un luccichio si accende negli occhi del confessore. Sa. Com’è imbarazzante!

“No, padre. No!” si affretta a dire, ansimando. “Nessuna malizia, padre!”

Lui esita. La scruta ancora. Si sente nuda. “Allora non temere.”

“Ma io voglio raggiungere la santità!”

P. John Paul strizza gli occhi, pensieroso. “La via è una: digiuno e preghiera.”

Virginia si china a baciargli la mano, lui le tocca la testa. La coglie uno stordimento che conosce: il Riposo dello Spirito. Vacilla, cade all’indietro, sviene. E sogna le mani di Dio sul suo corpo abbandonato.

Virginia ha un lavoro. È una commessa in un supermercato semi automatico. Va a lavorare ogni giorno con sottomissione e umiltà. Sorride a tutti. Cerca di ignorare coloro che comprano strumenti di morte: alcol, pastiglie, condom, cibi peccaminosi. Lavora senza un lamento anche se la fame l’attanaglia. Digiuna da giorni ormai. E prega. Incessantemente. Prima o poi la fame sparirà e lei sentirà solo la leggerezza. Ormai i desideri della carne sono quasi azzerati. Un passo dopo l’altro finisce la sua giornata, sale sulla metropolitana, passa in chiesa, dove resta in ginocchio un’ora davanti al tabernacolo. Poi torna nel suo appartamento. Quattro mura spoglie, un inginocchiatoio, un crocifisso, un letto, un  tavolo, dove consuma i suoi pasti frugali in assoluta solitudine. Nessuna distrazione. Nessun ospite. Un’alcova di silenzio e rinuncia. Ha reciso ogni legame.

Ma non è mai sola. Mai. Dio e la comunità sono con lei.

Questa sera c’è un altro Rito di Comunione. Si sente pronta, stavolta toccherà l’eccelso. Il suo livello di Purezza non è mai stato così alto. Inizia la procedura. Le parole di P. Raphael viaggiano nei suoi neuroni aprendo porte. Si ritrova nel tunnel di luce. Allunga la mano. Questa volta c’è la Madonna ad attenderla. Cerca di toccarle la veste. La Donna di Luce le sorride benigna, come le sorrideva sua madre. Lacrime scendono sul viso di Virginia. “Lascerai tuo padre e tua madre e io ti condurrò in una terra nuova, dove scorrono latte e miele.” Lo ha fatto. Sua madre voleva portarla via da Dio e lei se n’è staccata. E ora ha una nuova mamma. Piange, piange di gioia. Poi sente qualcosa: un dolore misto a un piacere, contrazioni. Si rannicchia. Ed è tutto buio.

“Può sentirmi?” La voce maschile insiste. Virginia vorrebbe ignorarla, ma non ce la fa. Alla fine apre gli occhi e distingue un uomo di colore. Jimmy? La più grande tentazione è tornata per riportarla nel suo inferno di lussuria? Lo mette a fuoco. No, non è lui, ma gli somiglia: il suo volto è liscio, le labbra carnose, gli occhi scuri. Sorride. Ha denti bianchi, come il suo camice. Lentamente Virginia mette a fuoco sempre meglio: un medico. Si trova in un ospedale, con il suo lindore accecante. “Bene” dice l’uomo. Ha un cartellino: Dr. Thomas Tabi, neuropsichiatra. “Bene” ripete. “Lei è Anaïs Louvain?”

“No.”

L’uomo corruga la fronte. “Ne è certa? I suoi documenti…”

“Il mio nuovo nome è Virginia. Ho preso il battesimo.”

Il medico si rasserena. “Oh, sì. Ma all’anagrafe e nel suo file medico è ancora Anaïs.”

È una cosa che Virginia detesta. Anaïs è il nome di una peccatrice, una scrittrice che ha pubblicato cose tremende. Il suo nome è la prima cosa di cui si è liberata.

“Bene, Anaïs” riprende il medico, “lei è fortunata. Stiamo rimediando al suo livello di malnutrizione e debilitazione fisica. Sarebbe potuta morire. Come le è saltato in mente di disattivare i controlli?”

“Come avete fatto? Ad accedere, intendo.”

“La sua azienda non consente l’interruzione totale dell’invio dei dati dall’IDM. È una policy aziendale che la mette al riparo da eventuali problemi assicurativi e frodi infortunistiche.”

“Non voglio frodare nessuno.”

Solo adesso si accorge di indossare un  camice usa e getta. Qualcuno l’ha spogliata, toccata. Forse il dottor Tabi. Le sale una vampata di desiderio. Cerca di reprimerla con una raffica di giaculatorie, ma lui probabilmente ha già visto e così pure Mystika. Mystika! Dov’è il suo device? Lo chiede al dottore dalle labbra sensuali e lui si rabbuia. “Le è stato sottratto. Non può servirsene qui. In effetti…” Fa una lunga pausa. “Abbiamo grosse perplessità.”

Virginia lo guarda senza capire. “Nessuno può impedirmi di praticare la mia religione.”

“In effetti sì.” La voce che risuona alle spalle del dottore è quella di una donna, una donna com’era lei una volta: bella, profumata, curata. Ha lunghi e folti capelli rossi, che scendono a onde intorno a un viso perfettamente truccato. Indossa un tailleur pantalone, ma non ha nulla di austero. La giacca è aderente e sotto c’è una generosa scollatura sulla quale cade lo sguardo del medico. Suo malgrado Virginia prova un’acuta gelosia. Ha tagliato i suoi capelli tempo fa: erano troppo belli, biondi. Attiravano sguardi maschili e la facevano peccare di vanità. Si è infagottata in abiti informi che sono diventati troppo larghi quando ha cominciato a digiunare. La donna misteriosa invece è un concentrato di potere, salute e seduzione.

“Ispettrice, la paziente si è appena svegliata” protesta il dott. Tabi.

La donna fa una smorfia. “Questa è arrivata viva. È già qualcosa. Abbiamo bisogno della sua testimonianza.” Poi tende la mano dalle unghie laccate. “Buongiorno, signorina Louvain. Mi chiamo Jessica Mori. Sono un’ispettrice di polizia. Sto indagando su una serie di morti sospette, tutte legate a una app religiosa che si chiama Mystika. Può parlarmene?”

Virginia sbarra gli occhi. Un brivido la percorre. È arrivato il momento, il momento che la traghetterà nella Rosa Mistica. La Grande Prova. Cerca le parole. “Mi… mi avvalgo della facoltà di non rispondere.”

“E io di continuare a farle le mie domande.”

È un rito che si rinnova. Ogni giorno Virginia riceve delle visite. Il dott. Tabi controlla i suoi parametri e cerca di convincerla a mangiare. Poi viene l’ispettrice. Siede accanto al suo letto e la bombarda di parole che la confondono. Non c’è p. Raphael ad aiutarla. Non  c’è nessuno a sostenerla. È sola. Sola. Contro il Nemico.

“Carina questa foto.” L’ispettrice proietta un’immagine olografica: raffigura Anaïs, cinque anni prima. È una ragazza bionda e procace, poco vestita. Sorride con un bicchiere in mano, tra due ragazzi: uno è Jimmy; dell’altro, con sua grande vergogna, non ricorda nemmeno il nome.

“Anche sei hai disattivato il tuo vecchio profilo, ho avuto accesso ai dati conservati nel database. Privilegi del mio lavoro. So che stai pensando: non ci si libera mai del passato, eh?”

Virginia non risponde. È troppo umiliata al pensiero che quella donna possa aver scoperto chi era e che cosa faceva prima della conversione.

 “Ti leggo il tuo commento alla foto,” continua l’ispettrice. “Serata fighissima. Il B46 è sempre il top! Parole tue. Ricordi?” L’ispettrice le lancia una delle sue occhiate, ma Virginia, di nuovo, non risponde. “Conosco il B46. Un locale abbastanza estremo, non trovi? Non circola solo alcol. Roba legale ma che ti sballa. Ci sono stata, sai? Ma la musica non mi è piaciuta. E, francamente, non sono una voyeur.”

Virginia ricorda quella serata, altroché se la ricorda. Come dimenticarla? È stata la goccia, il punto di svolta. Dopo l’alcol e un paio di stimolanti si è appartata con Jimmy e l’altro ragazzo, quello di cui ha dimenticato il nome. O forse non l’ha mai saputo, a ben vedere. L’hanno fatto in tre, in un androne, eccitati dall’idea di poter essere sorpresi, di trasgredire. Dopo è stata male come un cane. Le pastiglie, l’alcol, forse la coscienza. Ma Jimmy l’ha lasciata sola. Rintanata nel suo appartamento, Anaïs ha vissuto l’abisso del malessere fisico e dell’abbandono.

“È iniziato tutto allora, vero? Che cosa è successo?” Gli occhi della donna sono di un verde che le ricorda il mare. Sarebbe bello perdervisi, accettare la sua mano tra le onde del turbamento.

“Ho visto il baratro,” risponde con un’infinita stanchezza.

L’ispettrice resta un momento in silenzio. Quindi riprende: “Poi hai fatto l’iscrizione a Omnia, giusto?”

Lei annuisce. Non serve mentire.

“Hai seguito alla lettera il training proposto da Omnia: meditazione, alimentazione, sport. E ti sei tirata fuori da quel giro. Il giro delle pasticche, dell’alcol, della vita sregolata. Perché non hai continuato così?”

“Non era abbastanza. Non c’era Verità.”

È l’ultima cosa che dice anche se l’ispettrice continua a bombardarla di domande: “Perché? Perché non limitarti ad andare in  chiesa? Perché non accontentarti della tua prima app religiosa, Lux Dei? Perché ridurti così?”

Avverte la sofferenza e lo sgomento dell’ispettrice. La colpisce un’idea folle: forse può convertirla. Forse quell’umiliazione è servita a qualcosa. La Provvidenza sa volgere il male in bene, in un disegno che solo Dio può vedere. È il retro dell’arazzo, il garbuglio di fili che dà origine al capolavoro. È il quadro impressionista che da vicino sembra solo un insieme di macchie, ma dalla giusta prospettiva compone immagini di assoluta bellezza. O i pixel. Sì, lei è solo un umile pixel. Si lascia trascinare dalla dolce corrente di quei pensieri e si estrania dall’interrogatorio, almeno fino a che la donna non se ne va imprecando.

Sospira. S’illude di avere conquistato la pace, ma non è finita. Da fuori si sentono altre voci, voci nuove. Poi entra un uomo: un prete, anziano. Di certo è il cappellano dell’ospedale. Si siede, comincia a parlare con voce cantilenante, da predicatore buono.

“Figliola, che cosa hai fatto? Questa applicazione, Mystika, è tutta un’eresia.”  Il viso prima severo si distende in un sorriso. “Non lo sai? La gloria di Dio è l’uomo vivente. Dio non vuole il tuo dolore o la tua morte.” Torna severo. Così falso. Un attore. “È un peccato grave distruggere il proprio corpo!”

Virginia però è preparata: ha un arsenale di citazioni bibliche e di santi. Le vomita addosso al prete con rabbia. “Tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato, dice San Paolo ai Colossesi. Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. È sempre san Paolo.”

Il prete cerca d’inserirsi con le sue osservazioni. “Non è questo il significato… Il Concilio ha abolito…”

Ma Virginia è un fiume che ha rotto gli argini. Si è caricata di una forza che, lo sente, non viene da lei. Ha un’origine più alta, più nobile. “Il Concilio è opera demoniaca! È la bocca dell’inferno, la via degli stolti, che saranno gettati nel fuoco della Gehenna. Che cosa dice il Vangelo santissimo? E digiunò quaranta giorni e quaranta notti! Dal Diavolo non accettò né cibo né bevanda! Mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia, dice Sant’Ignazio. E ancora: Il corpo tribolato godrà più che se fosse stato nutrito di delizie.

“Calmati! Non avere paura! I tuoi peccati sono già stati perdonati, figlia mia. Sono stati perdonati per mezzo del sacrificio di Cristo. Nessuna tua opera può cambiare questo. Non è necessario versare altro sangue!”

“E allora perché Gesù ha detto ai discepoli: Questa specie di demoni si può scacciare solo con la preghiera e il digiuno? E allora perché la Santissima Vergine ci esorta sempre a pregare e a digiunare?”

A quel punto il prete perde la pazienza. “Quali demoni? Tu vaneggi! Digiuno, non suicidio!”

Ma Virginia ormai non ha più dubbi.  Il Diavolo alberga in lui, sotto il clergyman. Lo odia. L’odio è peccato, ma non se indirizzato contro il Diavolo. Si chiude nella ripetizione ossessiva delle litanie dei santi, sorda a tutto.

Sospira di sollievo quando il prete se ne va. È esausta, ma trionfante. Chiude gli occhi in cerca di pace. Cerca di placare il tremore che la scuote. C’è quasi riuscita, ma poi ecco l’altra arma del Nemico: sua madre. Non la vede da mesi. È sciupata, ma sempre bellissima. Le carezza il viso con amore. “Come ti sei ridotta? Perché?”

Virginia chiude gli occhi, nella speranza di arginare quel nuovo fiume di emozioni. Ma questa volta non ce la fa. È troppo. Comincia a urlare di portarla via. Tabi, allora, irrompe con due infermieri. La immobilizzano e la sedano. La tensione si scioglie, lentamente. È un oblio piacevole, ma non sogna Dio che la bacia, che la conforta. Sogna un tunnel vuoto, dove rimbombano eco di suoni alieni: i bip delle macchine, le voci dei medici, i passi sul pavimento di linoleum.

Quando si risveglia capisce che qualcosa è cambiato. Si sente bene in un modo che non prova da tempo. La sua mente è libera. Ha fame. Un condizionamento psicologico le impone di non mangiare, ma il cibo è appetitoso. Sua madre deve aver portato le sue famose lasagne. Il profumo la invade, le sembra persino che penetri nei pori. C’è anche del vino. Afferra tremante la forchetta. Il formaggio, il ragù, la besciamella… È un’estasi molto carnale. La gola, le ricorda una voce, la gola è peccato. Ma non può sottrarsi: si sente spinta da una forza molto più grande di lei, una voglia che la volontà non può contrastare. Divora tutto. Beve. Un languore si diffonde nel suo corpo e si riaddormenta. Sogna il dott. Tabi. Fanno l’amore sul letto d’ospedale. Lui indossa il camice, ma non ha nulla sotto. La sua pelle è nera e lucida come quella di Jimmy. Vede se stessa dall’alto, ma al tempo stesso vive l’esperienza in prima persona. La cosa più inquietante è che non sa distinguere se è Anaïs a guardare Virginia o il contrario.

“Come stai?” È l’ispettrice, in compagnia del medico. “Sei sveglia?”

Chissà da quanto tempo sono lì, a spiare il suo riposo. Virginia arrossisce al ricordo del sogno ancora così vivido, mentre Anaïs esulta alla vista di Tabi con il suo camice. Non importa se sotto è vestito di tutto punto.

“Sì, io… Bene, sì.” Beh, a parte il fatto che si sente spaccata in due come una mela. Due donne dentro una sola testa sono decisamente troppe.

“Il dottore dice che la nuova terapia funziona. Ma che manca ancora qualcosa.” La donna, sempre così bella, si scambia uno sguardo con Tabi e Anaïs prova il desiderio di cavarle gli occhi, mentre Virginia tace preoccupata. “Che devi prendere una decisione. E per farlo devi sapere.”

Intanto l’ispettrice ha estratto il suo portatile e ha cominciato a proiettare immagini e parole.

Virginia e Anaïs guardano il caleidoscopio di ologrammi che si dispiega come un’opera d’arte di quelle che un tempo Jimmy creava nel suo studio. In un angolo c’è p. Raphael in manette, in un altro il logo di Mystika con una serie di titoli lampeggianti: “Sgominata la rete degli assassini di Dio”; “Abusi e crudeltà mentale”; “Gary Wilson, in arte p. Raphael, accusato di omicidio”; “L’Interpol dà la caccia ai carnefici di Mystika sfuggiti alla cattura.”

Ci sono anche foto e nomi delle vittime. Alcuni li conosceva in modo virtuale: Lisa, Andrea, Charles, Yoko… I loro volti hanno la pelle tirata, le bocche spalancate. Sono cadaveri. Quasi tutti.

Virginia chiude gli occhi. È tutto un imbroglio ordito dal Demonio. Vogliono farle credere che quei sant’uomini erano dei mostri. Vogliono convincerla ad abiurare. “Vade retro Satana!” grida. Ma poi qualcosa la invade, una sorta di scossa, ma dolce, che riallinea i suoi pensieri e torna Anaïs, vitale e prepotente. Apre gli occhi e guarda Tabi. Il dottore ha davanti un tablet medico sul quale muove le dita con l’abilità di un pianista. È lui che pilota i suoi pensieri! Non è stupida. Ha studiato, non è stata sempre un’umile commessa.

“Che mi sta facendo?” chiede con una voce che non riconosce.

Tabi e l’ispettrice la guardano. Dai loro occhi traspare un misto di senso di colpa, compassione e determinazione. “Glielo spiegherò io,” dice il medico. “I Dispositivi Medicali Integrati che si è fatta installare non si limitano a monitorare il suo corpo e la sua psiche. Sono molto avanzati, tanto che possono regolamentare le sue funzioni corporee. E siccome il pensiero è chimica, muovono anche i suoi pensieri e desideri.”

“Ti hanno manipolata,” dice con durezza l’ispettrice, per chiarire meglio il concetto. “Ti hanno condotta sull’orlo della morte. Per denaro. Per il potere. Per lussuria.”

Virginia si porta una mano alle labbra. Trema tutta. Scuote la testa. “Non ci credo. Non ci credo.”

“Oh, alcuni erano dei veri santi e praticavano ciò che dicevano, ma non tutti. E comunque resta il fatto che hanno abusato mentalmente di voi.” Con un gesto indica i morti che ora sembrano ancora più reali. Le balzano incontro, come in un film dell’orrore. Solo che è vero, sono morti sul serio.

“E lei non sta abusando, manipolandomi?” chiede Virginia al dottore, rifiutandosi di guardare ancora.

Tabi abbassa per un momento gli occhi, poi li risolleva determinato. “Non potevamo fare altro. Non potevamo rimuovere i suoi IMD, perché ormai sono completamente integrati nei suoi tessuti. Potremmo disattivarli del tutto, questo sì, ma è troppo rischioso: ormai la sua mente e il suo corpo non possono più lavorare in autonomia. C’è un’alta probabilità che lei muoia o si riduca a un vegetale. Se mi passa il termine, lei è un cyborg. E non è la sola. Lo siamo un po’ tutti.” Fa una breve pausa. “All’inizio ci è sembrata una buona idea: monitorare il corpo dall’interno e, se necessario, agire direttamente su di esso, alterandone la chimica in modo mirato. Abbiamo curato il cancro, per la miseria. E molto altro. Quasi del tutto senza farmaci. Forse se gli IMD fossero rimasti monopolio dei medici… Ma c’erano troppi interessi.” Si passa una mano sul viso. “Ci avevano messo in guardia, ma non abbiamo voluto ascoltare. Siamo tutti colpevoli.”

Non è chiaro a chi si riferisca. Ai medici? Agli sviluppatori delle app? Alle aziende produttrici? All’umanità intera?

“Chi ha fondato Mystika lo sapeva,” rincara la dose l’ispettrice. “Vi lasciavano le redini lunghe all’inizio. Vi consentivano di conservare l’illusione dell’autonomia decisionale. Poi… con la versione Pro eravate a tutti gli effetti schiavi.”

“Schiavi o liberi? Io ero schiava prima di essere liberata!” Ci crede davvero. Per anni ha vissuto in questa convinzione. È dura a morire. “E poi, anche se fosse? Ero più felice. Ero più felice.”

L’ispettrice emette un suono poco signorile. A metà tra un grugnito e una risatina sarcastica. Si alza, va alla finestra, si volta. “Dottore, crede ancora che sia necessario evitarle questo trauma?”

Tabi è dubbioso. Poi scuote la testa. Allora l’ispettrice torna al suo proiettore olografico portatile. “Ecco, goditi lo spettacolo in 3D, Virginia.” Non la chiama mai così e ora pronuncia il suo nome come se sputasse. Poi compare un’immagine. È lei, nel suo appartamento. Riconosce il cuore di Gesù e le lame di luce rosso sangue sulla parete. C’è p. John Paul, inconfondibile col suo viso lungo e brutto. Parlano, lui le mette la mano sulla testa, lei sviene. A quel punto lui la spoglia, le apre le gambe… Il resto non vuole vederlo, ma la voce dell’ispettrice la incalza. Così apre gli occhi pieni di lacrime.

“Come sa, gli IMD di ultima generazione possono indurre sensazioni fisiche, ingannando letteralmente il cervello,” spiega Tabi. “Quell’uomo, quindi, ha fatto sesso con lei a tutti gli effetti: ha ricevuto e trasmesso impulsi cerebrali che non possono essere distinti in alcun modo da quelli che si generano in un contatto fisico. Con l’aggravante che ha indotto il suo corpo a rispondergli.”

“Una cortesia che altri dei tuoi cari santoni non hanno usato alle loro vittime,” puntualizza l’ispettrice. “Forse si divertivano a fare loro del male.” Ha un’espressione disgustata. “Abbiamo sequestrato decine di questi video. Giuristi e parlamenti in tutto il mondo stanno discutendo se sia possibile introdurre il reato di violenza carnale virtuale, ma non vedo come altro definire la cosa. Per non parlare del fatto che alcuni di questi ologrammi si trovano in rete, sui siti porno.”

Virginia si immagina proiettata in una stanza dove uomini e donne si toccano, peccano guardandola. Un veicolo di peccato. Mentre credeva… Qualcosa si ribella. “Non può essere vero. È una montatura.”

“Temo di no,” è la risposta sconsolata dell’ispettrice. Poi le prende la mano. “Lo so. Il mondo, il mondo come lo conoscevi ti è crollato addosso, ma non è finita. Puoi ricostruire il puzzle, andare avanti.” Non suona convincente perché non è convinta.

“A poco a poco potremo ridurre gli interventi su di lei,” aggiunge il dottore. “La sua mente ricomincerà a funzionare secondo automatismi sani. Potrà prendere decisioni autonome. Deve solo darci il consenso.”

Il consenso? Ora capisce. Le tornano in mente gli studi di legge. Il dottore non può curarla in quel modo senza che lei accetti, altrimenti sarebbe peggiore di loro. Da un punto di vista teorico Mystika può dire di avere avuto il consenso, ma le informazioni che forniva prima della sottoscrizione non erano sufficienti, quindi il reato sussiste. Anaïs era un avvocato, la sua mente sa immaginare le mosse e contromosse dei suoi ex colleghi. È una cosa grossa, ha ragione l’ispettrice: Mystika aveva moltissimi utenti, sparsi su tutto il globo.

“Dite che non sono la sola vittima. Dove sono gli altri? Gli altri sopravvissuti?”

“Molti reparti si stanno attrezzando. Questo è uno dei più avanzati. È fortunata. Valutiamo il livello di coinvolgimento, i pericoli. Non tutti i nostri pazienti sono finiti nella rete di Mystika, alcuni sono stati manipolati da altre app criminali. È difficile da immaginare, ma ce ne sono perfino di peggiori.”

“Su che base stabilite se una app è dannosa? Su basi ideologiche? Morali? Mediche?”

“Qualunque cosa impedisca a una persona di vivere una vita piena e la conduca a un pericolo per la salute è ritenuta criminale,” risponde l’ispettrice. “Qualunque app spinga ad azioni criminali è criminale.” Anche lei deve aver studiato legge. Forse è obbligatorio per il suo ruolo. Ma ad Anaïs/Virginia non interessano i suoi sillogismi da avvocato di quart’ordine. C’è la sua vita in gioco. Vorrebbe obiettare che dopotutto non possono sapere se lei fosse felice o infelice. Anche questo però è un ragionamento inutile. Non scalfirà le loro convinzioni come nulla avrebbe scalfito quelle di Virginia, della Virginia che si è quasi ammazzata col digiuno.

“Se negassi il consenso?” chiede.

“La potremmo curare comunque: la sua reazione dimostrerebbe che necessita di un Trattamento Sanitario Obbligatorio.”

 Ovvio. “Non sarò mai libera, dunque? Non saprò mai se il Dio che ho toccato era vero? Se c’è una Verità oltre il velo delle vostre manipolazioni? Non saprò mai se i miei pensieri e i miei sentimenti sono miei?”

Tabi scuote la testa. “Posso dirle che se risponderà bene, molte delle sue funzioni autonome saranno ripristinate. Non dovremo monitorarla in modo tanto invasivo. Avrà la sua privacy, ma… Temo che non scoprirà mai se quello che ha visto e sentito era vero. Come tutti noi, del resto. Dovrà credere senza vedere, come tutti noi. Credere oltre ogni logica. O non credere.”

Le porge il tablet. Deve solo appoggiare il dito per firmare con l’impronta. L’assalgono ricordi: Anaïs disinibita e autodistruttiva, Virginia chiusa nel mondo di Mystika. E ora…

L’ispettrice la incoraggia dicendole che è il primo passo verso la libertà, ma non è vero. Non c’è libertà. Così afferra il tablet, scappa nel bagno, cerca freneticamente. Ecco, si vede. È lei. Sono i suoi parametri. È tutto registrato, anche le reazioni durante la fase onirica. Non è brava con l’elettronica, ma il programma è intuitivo. È certa che lo possano controllare da remoto, quindi deve sbrigarsi se non vuole che la escludano. Trova quello che cerca. Esita. “Disattivare tutti i Dispositivi Medicali Integrati?” chiede il programma. “La scelta potrebbe influire gravemente sulla salute del paziente.

Ma non si è forse allenata al martirio tutti quei mesi? Forse precipiterà all’inferno. Anzi, ci andrà di sicuro. O forse Dio la salverà, se esiste. Ma almeno sarà libera.

Al di là della porta le voci si sovrappongono. Le giungono distorte attraverso i meandri della sua mente. Echi lontani di un mondo che non le appartiene. Il dottore, al limite della disperazione: “La prego! Non lo faccia!” L’ispettrice, furiosa: “Anaïs! Apri!… La blocchi, per la miseria!… La sicurezza! Subito! Stanza 406!” E poi i tonfi: mani che si abbattono contro la porta. E passi di nuovi arrivati, pesanti, minacciosi.

Virginia ignora ogni cosa. Vede solo i due riquadri che lampeggiano: uno rosso con la scritta “OK”, l’altro verde “Annulla”.

I rumori si fanno più intensi. Stanno per sfondare la porta, la sente scricchiolare. Le tremano le mani. No, non solo le mani. Tutto il corpo è scosso da brividi. Contratto. La nausea rischia di sopraffarla.

Inspira. Espira.

Appoggia il dito sull’OK.

Il suo corpo scivola sul pavimento, fattosi improvvisamente instabile e vischioso come pece. “Chi perderà la propria vita la guadagnerà,” è l’ultimo pensiero prima di andare in frantumi.

Ma non è finita: un frammento, lucido come una scheggia di vetro, continua a vibrare, tenace germoglio di speranza.


Si ringrazia Franco Forte per avere acconsentito alla pubblicazione sul mio sito personale.

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