LETTURE

LA MULTA

“Fu la multa che mi fece capire la gravità della cosa!”

La voce della donna era stridula, come se faticasse a trattenere il pianto.

Il giudice Risi, un bel tipo, che somigliava un po’ a Carofiglio, si sporse sulla scrivania ingombra. Quel gesto familiare gli diede un senso di benessere. Quanto gli era mancata la sua scrivania! E il rapporto viso a viso. La donna portava ancora una mascherina, anche se il pericolo era passato da mesi. C’era un nome per quella nevrosi, ma il giudice non voleva ricordarlo. Voleva dimenticare i mesi della pandemia, ma non ci riusciva. E poi, quando ci era quasi arrivato, al benefico oblio, ecco i suoi casi da dirimere, molti dei quali erano legati a quell’oscuro periodo. E allora il fiume dei ricordi straripava.

“I vigili lo fermarono all’angolo tra il Comprabene e via Martiri della Liberazione. Cinquecentocinquantatré euro. Cercò di nascondermelo, perché sapeva che mi sarei infuriata.”

Risi cercò nella cartellina. Agli atti c’era il verbale della multa. Nello spazio per la dichiarazione c’era scritto: “Afferma di dover andare da Comprabene, a 2 km da casa, perché nei locali supermercati ‘non c’è quello che voglio’.”

Sollevò lo sguardo. “La firma è sua?”

Finalmente l’uomo parlò. Era rimasto seduto sulla sua sedia scomoda senza fare un fiato.

“L’ho contestata.”

“Come molti” rifletté ad alta voce il giudice. Le cancellerie erano intasate di ricorsi. “Quindi lei non era lì?”

“No, ero lì” disse l’uomo con tono calmo, di condannato che si rassegna suo destino.

“Che cosa cercava, signor Colli?”

“Glielo dico io! Quella smorfiosa! Che gli faceva gli occhi dolci e chissà che altro, nel retrobottega. Col rischio di contagiarmi di ritorno a casa. Dio ha guardato giù, signor giudice.”

“E come ti contagiavo? Facevamo vite separate in cinquanta metri quadri. Mi hai spedito a dormire in soggiorno, sul divano letto. Disinfettavi ogni centimetro dove passavo. Ti bardavi come un medico del reparto infettivi. Sono mesi che non vedo la tua faccia.” Fece un gesto vago, indicando la mascherina della discordia. “Non mangiavamo insieme, non guardavamo la TV insieme, figuriamoci il resto. Sarei stato meglio da single. Almeno i cinquanta metri quadri sarebbero stati tutti per me!”

Il giudice si sentì sommergere da una nuova ondata di ricordi. La sua totale solitudine, in quei giorni, lo aveva fatto impazzire. Linda, una sua amica, gli aveva proposto sesso virtuale, con uno di quei programmi per le videoconferenze, ma, a parte il problema della privacy non garantita, lui non ci si divertiva con quella roba. Gli mancava il profumo, la grana della pelle, il suono della voce non filtrato dalle casse del PC. E poi non era il sesso problema. Altre volte era stato in astinenza per più tempo. Avere una donna nel letto, in fin dei conti, non era così necessario. Gli piaceva pensare di essere un uomo, non una bestia in calore. Ciò che gli mancava era il contatto umano. Una volta si era commosso ascoltando una vecchia canzone in cui un innamorato vagheggiava il giorno in cui avrebbe potuto tenere la mano alla sua bella. Ecco, una stretta di mano, una pacca sulla spalla, un abbraccio.

In quei giorni si era fatto l’idea che avere una famiglia, una moglie, con cui condividere la quarantena fosse un inestimabile privilegio.

Eppure, la sua scrivania era ingombra di faldoni: tutte cause di divorzio a seguito pandemia.

“Lo avrai il tuo buco di cinquanta metri quadri!” strepitò la donna, con la voce ingolfata dalla stramaledetta mascherina. Poi si volse verso di lui, con gli occhi lucidi di rabbia e di pianto. “Giudice, che avrei dovuto fare? Lui usciva per fare la spesa. La mia era normale prudenza.”

“Normale prudenza? Ossessione, direi! Certo, passavi la vita a leggere bufale allarmistiche!”

Beh, il marito stava tirando fuori le palle! E bravo! Un involontario sorriso si dipinse sul volto di Risi, ma subito lo represse.

“Signora Colli, lei afferma che suo marito aveva una tresca con la cassiera…”

“No, no, con la commessa della gastronomia, signor giudice.”

“E lei che dice?”

L’uomo esitò. Poi alzò le spalle. “Gliel’ho spiegato tante volte. Che senso ha ripeterlo?”

“Su, signor Colli, lo faccia per me.”

Il marito sospirò, sprofondando nella sedia scomoda. “E va bene. Lei ricorda le limitazioni alla libera circolazione, le autocertificazioni, no?”

Il giudice annuì.

“Non potevi allontanarti da casa e dovevi fare solo le spese necessarie vicino alla tua abitazione. Duecento metri, non di più.” A quel punto l’uomo venne in avanti con il busto, l’indice e il pollice che si toccavano come se tenesse tra le dita qualcosa di piccolo, prezioso, proprio davanti al naso, per vederlo meglio, per mostrarlo al suo interlocutore. “Ma che cosa è necessario, signor giudice? Per uno è necessario guardare la partita, per un altro andare a messa; c’è chi tiene a un certo decoro nel vestire, al trucco, al parrucchiere; alcuni trovano soddisfazione nel cucinare torte e nell’impastare e sfornare pane fragrante.” Nel dirlo aprì le mani, grandi, ossute, nelle quali la fede s’incastrava come un bizzarro elemento estraneo. “Uno non può fare a meno della ginnastica, della corsetta la mattina; per un altro è indispensabile il calore della moglie nel proprio letto.” E guardò la donna.

“E per lei, signor Colli?”

“Farò un passo indietro” cominciò l’uomo, riappoggiandosi allo schienale. “Ero un ragazzo, appena trasferito dal sud per cercare lavoro. I miei sono di qui, ma avevamo seguito papà che lavorava in un’importante banca, a Palermo. Furono anni felici, ma per me, che sono ingegnere informatico, in Sicilia non c’erano molti sbocchi. Io volevo aiutare mia madre, improvvisamente rimasta vedova.”

Risi annuì, anche se non capiva la premessa.

“Avevo trovato una stanza squallida. Di giorno mangiavo in mensa, in ditta. La sera non avevo i soldi per pagarmi una pizza o una cotoletta in trattoria. Ma non ho mai saputo cucinare. Cioè la pasta al sugo, un uovo sodo, non molto di più.” Sospirò di nuovo. “Poi, dietro l’angolo, a due isolati appena, scovai il Comprabene. Allora si chiamava Albatros, chissà perché. E aveva per simbolo un enorme gabbiano stilizzato.”

Da ornitologo dilettante, il giudice Risi tacque sulle differenze tra i due uccelli.

“Scommetto che quella la conosce da allora” disse la moglie. “Ma perché non ha sposato lei?”

Il marito la ignorò. I suoi occhi si velarono di sogno. “La rosticceria era favolosa, almeno per me. E varia. Si andava dal vitello tonnato alla pizza, dai carciofi ripieni alle crocchette di patate, dall’insalata di mare alle lasagne. Di fronte a quel banco ero meno solo.”

“La signora le ha fatto una domanda circa la commessa.”

“No, non c’era” sbottò il signor Colli infastidito da quell’incursione nel suo ricordo. “Non ancora. Arrivò con il passaggio di proprietà, quando l’Albatros diventò Comprabene. Allora avevo preso una casa più grande, con mia sorella Lucia. Anche mamma ci aveva lasciati. Lucia cucinava benissimo, ci facevamo compagnia, così non sentii la necessità di andare al Comprabene per mesi. Ma poi mia sorella si sposò, andò a vivere per conto suo, col marito. Di nuovo solo. Così ricominciai a frequentarlo.”

“Vogliamo stringere, signor Colli?” Risi cominciava a sospettare che, senza un argine, quell’uomo lo avrebbe intrattenuto con le sue memorie per chissà quanto tempo, eludendo la domanda fondamentale: se la faceva con la commessa o no?

“Era necessario che lei capisse” si difese Colli, chinandosi in avanti con gli occhi lucidi. In cerca di complicità. “Che lei capisse che cosa hanno significato per me le restrizioni. Ho sposato Paola in modo affrettato, per uno scapolone come me. L’amavo.”

Il giudice non sottolineò l’uso del passato.

“Ma in quei giorni… In quei giorni,  con lei barricata dietro la mascherina, con l’odore dei disinfettanti, con l’oppressione della prigionia… Lei non può capire il piacere di attendere, come un innamorato sotto la casa dell’amata, col sole o con la pioggia, con quel carrello tra le mani. Insieme a decine di altri. Come pellegrini in fila per entrare in un santuario.”

“Com’è poetico, vostro onore” disse la moglie con sarcasmo. “Per me non una parola gentile, per quella invece…”

“Non è vero, non è vero. E lo sai. Ma un uomo, che cos’è un uomo senza i suoi piccoli vizi?”

Il giudice non rispose, anche se fremeva per la sua sigaretta del mattino. Ne fumava solo due al giorno, ma che piacere! Quel sapore sul palato che si mescolava all’aroma del caffè. Che piacere!

Però ci voleva una bella faccia tosta a definire “piccolo vizio” l’infedeltà. E davanti alla moglie.

“Poi” riprese l’uomo, “finalmente entravi nel supermercato. Ed era tutto familiare. Gli odori, gli scaffali, la disposizione delle merci. Tutto perfetto. Tutto come allora. E dietro al bancone della gastronomia la solita commessa gli occhi gentili, che sorridevano anche se non vedevi le labbra. Il modo in cui le sue piccole mani bianche incartavano cibi… Lo sguardo dolce mentre riempiva la vaschetta delle patatine fritte e mi chiedeva, quasi in un sussurro: ‘Ancora?’…”

Il giudice sprofondò nella sua sedia, allungò le gambe, la fronte corrugata. “Mi faccia capire, signor Colli. Sta dicendo che non andava lì per quella donna?”

“No, non nel senso che crede mia moglie. Certo, che ci fosse lei, da tanti anni, rendeva tutto più familiare, più accogliente. Era parte dell’insieme.”

“Si prese cinquecentocinquantatré euro di multa e sta rischiando il divorzio per il vitel tonné e la pizza precotta? E le patatine? ” Era esterrefatto. “Signora, lei non cucinava per suo marito?”

“Figuriamoci!” strepitò la moglie da dietro la mascherina. “Certo che cucinavo! E sono anche brava! Ogni giorno preparavo per lui. Roba ben più sana delle schifezze che quella lì…”

 Ma il marito non le permise di continuare. “Sì, vostro onore. Ero lì per quello, e nessuno mi potrà mai negare questo innocente piacere. Che quegli asini al governo non abbiano capito, che mi abbiano negato il mio diritto è cosa che si può aggiustare, in parte, per la questione economica, non morale, con un ricorso. Ma che mia moglie non comprenda… Beh, se vuole divorziare per questo, non la fermerò. Meglio così.”

Il giudice inspirò profondamente, le mani giunte, in meditazione, gli occhi che guardavano ora il viso del signor Colli, ora quello della sua signora. Di tutte le follie… Ma poi pensò alla propria quarantena e a quella sigaretta che lo attendeva. Prese la stilografica, svitò il tappo e scrisse: “Divorzio consensuale per incompatibilità di carattere.”

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Copyright M. Caterina Mortillaro

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